Pagine di gioventù: “In colonia al mare”

Durante l’inverno ci piaceva molto ricordare le nostre avventure dell’estate, soprattutto quelle passate al mare, in colonia. È vero! Quando si è piccoli, tutto ciò che ci circonda, sembra molto più grande, enorme. Ma nel caso in questione e cioè quando ci fu data l’occasione di vedere per la prima volta il mare, non si poteva che rimanere estasiati e sorpresi da tutta quell’acqua, il suo rumore continuo, le onde di un certo tipo fino all’orizzonte. Abituati al nostro laghetto, lì al mare per forza di cose era necessario ambientarsi in fretta. La paura di non saper nuotare unita alla voglia di giocare sulla sabbia, ci turbava non poco e ben presto capimmo che c’era anche dell’altro cui far fronte. Infatti, lo stare in colonia, insieme a tanti altri bambini, non fu per noi montanari una cosa semplice: bisognava in qualche modo difendersi sia dai più grandi, sia dagli estranei. Gli scherzi, anche pesanti, erano all’ordine del giorno, direi al minuto; in camerata come durante il bagno, per non parlare del mangiare al refettorio, non di certo al top, e ci dovevamo stare la bellezza di ben due settimane intere, alternandoci con il turno delle femmine.

La colonia estiva “Stella Maris”, in quel di Silvi Marina, era organizzata nella prima metà degli anni ‘60 dalla Diocesi di Sulmona in contatto con le altre parrocchie del circondario, compresa la nostra di Scanno, dove dovevi prenotarti. A detta dei nostri genitori: un po’ di mare ci avrebbe fatto bene. L’equipaggiamento era il solito: maglietta bianca e cappellino blu o viceversa, un paio di sandaletti, due/tre pantaloncini e almeno due costumi da bagno, magari quelli già usati dai fratelli più grandi a mo’ di mutandoni.

Le giornate erano infinite. Si cominciava con la sveglia di primo mattino, adunata nel piazzale in fila per gruppi, la recita in coro delle preghiere e l’ immancabile rituale dell’ alza bandiera scandito da un gracchiante inno di Mameli, probabilmente registrato male o per il non ottimale impianto di diffusione. Poi di corsa al refettorio per la colazione a base di caffè latte e gallette, e via d’urgenza ai gabinetti sempre affollati e maleodoranti, per non dire altro. Le camerate erano affollatissime, circa quaranta bambini a stanza con una sola finestra e in un angolo il letto dell’assistente, nascosto dietro un telo. Più che in colonia sembrava di stare in caserma. Allora non restava che sognare ad occhi aperti. La mente così prendeva il volo per le viuzze di Scanno, dove ci si rincorreva a perdifiato o all’Edificio dove giocavamo a pallone. A volte però non si spostava di molto, fermandosi a immaginare cosa facesse la nostra Signorina di là della tenda. Tornati di botto alla realtà, dopo il riposino pomeridiano, ci si recava nuovamente in cortile per i soliti giochi: il “mangia sabbia”, palla avvelenata e a ruba bandiera, il tutto accompagnato dai soliti spintoni tra i vari gruppi: quelli dell’ Ancora, della Stella Marina, dei Scorpioni, dei Serpenti, le Aquile, i Delfini ecc., ci si azzuffava quasi sempre e di continuo anche durante la mezz’ ora in acqua, quando i fischietti delle suore che ci guardavano non avevano mai pace. E menomale! Certe bevute! Qualcuno ha rischiato anche di affogare.

Uno dei momenti più attesi, oltre a quando si faceva ritorno in paese, cadeva di domenica poiché, dopo la messa, c’era la visita dei genitori e parenti che a stento riuscivano a riconoscerci per l’abbronzatura e le varie scottature. Finalmente si poteva stare un po’ più liberi; si poteva uscire per gustarsi un gelato o la pizza al pomodoro accompagnati dalle nostre mamme in costume scannese, nonostante il gran caldo ad attirare tutta l’attenzione dei presenti. Ma c’era anche chi piangeva perché non era venuto nessuno a trovarlo.

Comunque di quel periodo insolito passato in colonia, specialmente il primo anno, ci portammo dietro tante nuove esperienze. Imparammo come fare per resistere alle provocazioni dei compagni, come valutare quei paurosi, forti e improvvisi temporali estivi e quelle onde altissime, e più di ogni cosa come fosse pesante il distacco dalla famiglia, dal paese e dagli amici. Solo alcuni, beati loro, non si sa come impararono anche a nuotare. 

Fonte: Raccolta “Pagine di gioventù” (1959-1979) di Pelino Quaglione

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