“Gloria per tutti!”

Quarta tappa di avvicinamento: Manca solo una settimana ed è iniziato il conto alla rovescia in avvicinamento al 10 novembre, giorno delle Glorie di San Martino. Quest’anno sono tornato a visitare la mia contrada che, sin da bambino, mi aveva visto partecipare attivamente alla preparazione della grande pira, senza avere allora coscienza dei molteplici significati antropologici, etnografici e culturali di questo, che rimane di certo il rito dai contenuti paganeggianti più marcati, fra i molteplici, miracolosamente sopravvissuti a Scanno, in conseguenza dell’isolamento geografico e dell’attaccamento del nostro popolo alle nostre tradizioni.

Ricordavo all’amico Egidio Mastrogiovanni – più giovane di me di ben 6 giorni – di quella volta che crollò la gloria che stavamo costruendo, con noi sopra e fummo sepolti dalle fascine di “ceppe”. Ci tirò fuori Gaetano Rossicone, di qualche anno più grande. Quel giorno abbiamo imparato tanto, e a quello servono tutti i riti di passaggio, che ci privano della protezione e delle certezze casalinghe. Riti di passaggio che, come noto, sin dalla notte dei tempi, si svolgono nel bosco. Alcuni esempi sono quelli delle fiabe; le streghe, i mostri, il lupo cattivo di Cappuccetto Rosso, la “Selva oscura dantesca”. In Olanda sopravvive un rito popolare, chiamato drop down, che può apparire un po’ crudele. Prevede di lasciare bambini tra i 12 e i 13 anni da soli, o in gruppi di due o tre, nel  bosco. Dovranno ritrovare la via per tornare a casa. I bambini, devono imparare ad essere indipendenti e cavarsela da soli di fronte alle avversità. Di certo anche il nostro deriva dall’antico capodanno celtico dei longobardi, ed era diffuso in tutta la nostra zona fino all’inizio del secolo scorso.

“All hallows’ even”, in celtico “tutti i santi”. I popoli celtici banchettavano durante la notte del 31 ottobre in mezzo alle tombe, per ingraziarsi gli spiriti dei defunti, assimilati nel rito ai santi; ci si travestiva da…morti per placarne gli spiriti, incolleriti dal buio. Da qui i travestimenti con le zucche e le candele, praticati anche da noi, nell’infanzia. A Scanno la funzione apotropaica e beneagurante dei falò conserva simbologie iniziatiche ancora antiche, quali l’inserimento dei bambini nel mondo degli adulti, attraverso la raccolta della legna nel bosco, regno del mistero e della favola, o la consegna del più grande palo del falò (palancone), all’ultima sposa della contrada, al termine del rito, quale segno di augurio e di fertilità! Anche a San Martino si conserva il rito del travestimento, con i partecipanti che s’imbrattano il volto con la cenere del fuoco prima di ridiscendere in paese, dove si irridono con canti sfottenti le contrade avversarie, prima di passare alle gozzoviglie, che si protrarranno fino a tarda notte. La fine dell’anno agricolo coincideva con l’inizio del periodo più critico dell’anno, con la luce che cede progressivamente il passo alle tenebre, con il suo culmine al solstizio d’inverno, quando si acuisce di nuovo il conflitto fra la luce e le tenebre, fra il bene e il male, fra la vita e la morte. Il terrore dell’estinzione della luce e del calore viene esorcizzato attraverso i riti del fuoco, i canti, i balli e i banchetti, che in origine coincidevano con il Natale; accompagnati da questue, beneauguranti abbondanza e fertilità.

Le foto, che Silvia Mosca ha scattato alla Plaja, documenta come, da un po’ di anni, anche le ragazze partecipano durante la giornata del 10 novembre. Contaminazione o emancipazione? Benvenute ambedue; l’importante è che sia conservato lo spirito originario del rito, il cui principale valore oggi è quello “identitario” e, a tal proposito, quest’anno mi è servito a convincermi che le Glorie debbono accendersi il 10 di novembre, senza eccezioni “turistiche”. P.C.

Nota: Maria Concetta Nicolai, raccontandone anni fa sulla Foce gli aspetti antropologici, ne enfatizzava alcuni tratti: «A Scanno, la notte di San Martino acquista una suggestione diversa, forse perché la tradizione rivela caratteri più che altrove arcaici e originali, o forse perché la particolare dimensione architettonica e naturale in cui è immerso il centro conferisce all’evento un fascino misterioso e coinvolgente. Un’espressione rituale di grande spessore resta l’abitudine dei ragazzi di tingersi il viso con il nero della fuliggine prima di iniziare a cantare intorno al fuoco agitando grossi campanacci e oggetti atti a produrre frastuono. Le Glorie di San Martino sono semplicemente una festa d’autunno in cui i ragazzi imparano a diventare grandi e i grandi si ricordano di quando erano bambini e il paese riannoda la trama delle tradizioni in cui riemerge il carattere della stirpe».

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