Pagine di gioventù: “Santa pazienza!”

Al termine delle novene che precedevano le rispettive feste dei primi anni ‘60, solitamente uscivamo di corsa dalla sacrestia zigzagando tra le gonne ingombranti delle tantissime donne in Costume tradizionale scannese che uscivano dalle porte principali delle chiese. Era un modo spontaneo per scaricare tutta la nostra vivacità dopo essere stati più o meno tranquilli durante l’intera funzione in virtù del nostro ruolo di chierichetti. Le signore di certo non erano affatto contente di averci tra i piedi pertanto con calma si scansavano sbuffando come si fa al passaggio di un gregge di pecore. Infastidite non più di tanto, per capire a quale parentela appartenessimo, spesso si divertivano a identificarci semplicemente puntando sulla somiglianza o per soprannomi.

Così veniva fuori che uno era il nipote del Parroco, uno il figlio del Maresciallo, l’altro apparteneva ai “Masctefiore” o ai “Sciaravaja”, l’altro ancora ai “Conciambrelle”, e poi ai “Zampanielle”, ai “Cherdille, ai “Rafanielle”, ecc. per finire con i figli del benzinaio, del macellaio, del fabbro o i nipoti del fruttivendolo, dell’autista, di “Squarcione”, di “Scardella”, di “Cazzellitte”, o addirittura figli di Mammà…quello sì…di sicuro! E più di ogni cosa, identificati comunque come tutti figli di Dio, eravamo, con la massima pazienza, da capire e quindi da trattare con delicatezza in quanto bambini ancora troppo piccoli di soli 9/10 anni. Non era semplice per le nostre mamme badare alla famiglia, ai figli, specialmente quando i mariti erano fuori paese o all’estero. Ma ci si faceva coraggio e si andava avanti comunque: con discrezione, sottovoce. Quel farfugliare era per noi incomprensibile e quel loro modo di gesticolare quasi teatrale, la postura, il tono di voce sussurrato e la mimica facciale, stava a indicare che tutto sommato sicuramente erano in possesso di un elevatissimo indice di sopportazione.

In occasione dei matrimoni, poi, si prendevano tranquillamente tutta la scena con il loro abito nuziale con il “cappellitto” a mo’ di regina e le “mandere” colorate cosicché, per noi che non capivamo, il tutto poteva sembrarci abbastanza irreale e perfino comico tanto da chiederci: ma come fanno a resistere per un’intera giornata con quel coso sulla testa? Se poi si pensa che andavano normalmente in montagna per legna sopportando un peso impressionante sulla testa per chilometri, allora era tutto chiaro. Indubbiamente ciò che ci rassicurava era il loro modo di pazientare e le loro espressioni; seppur stanche riuscivano quasi sempre a nasconderlo bene. Raramente le abbiamo viste litigare tra loro. Agitarsi, sì! E preoccupate, specialmente per qualche nostra piccola bestemmia scappata di bocca e per la scuola. Poi però, in modo pacato, ci dicevano di stare attenti e di essere educati e rispettosi. Stare buoni era assai difficile, spesso si tornava a casa con numerosi lividi, risultato delle risse con i più grandi. Le nostre mamme dapprima ci sgridavano addossandoci tutta la colpa e subito dopo ci rincuoravano consigliandoci di girare alla larga.

In certe situazioni, relative ai tanti guai e danni che combinavamo, sentivamo spesso dire che la pazienza non è mai troppa o che si rischia di perderla facilmente. Ma anche: “chi ama la pazienza non si danna”…ed infine: “con i ragazzi ci vuole soprattutto pazienza… cresceranno”.

Fonte: Raccolta “Pagine di gioventù” (1959-1979) di Pelino Quaglione

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