La Foce non dimentica Riccardo Tanturri de Horatio

Qualche giorno prima delle festività natalizie, il 21 dicembre 2001, ci lasciava Riccardo Tanturri de Horatio, ideatore del Premio Scanno, docente universitario di Lingua e Letteratura italiana, scrittore, poeta, intellettuale e giornalista.

In occasione del ventennale della sua morte, il nostro giornale, nel primo numero dell’anno 2021, gli aveva già dedicato un ricordo a firma del prof. Paolo de Nardis, che vi riproponiamo.

Riccardo, vent’anni dopo

È in corso il duemilaventuno. E a fine anno saranno vent’anni che Riccardo ci ha lasciato (21 dicembre 2001) per sempre chiudendo un breve ma intenso viaggio sotto il vettore di un mondo che non sempre gli era stato ambiente amico. Mi sono spesso chiesto come avrebbe vissuto, se fosse stato ancora con noi, lui, così dinamico e sempre a mille, l’ultimo tragico anno che abbiamo trascorso nella pandemia. Me lo chiedo tuttora. Non riesco a trovare la risposta se non rivolgendomi ai “prischi sommi” come direbbe Machiavelli (“Lettera al Vettori”) della grande poesia italiana del ‘900 (il secolo di Riccardo) che tanto amava. E ho pensato che forse questo sarebbe stato l’anno dei suoi “Ossi di seppia”, ma non come li aveva visti Montale nel 1925 in una sua concezione della natura che in maniera deterministica s’imponeva sovente leopardianamente matrigna e che pure cercava una possibile apertura, un varco, quindi una salvezza confidando nella possibilità di un errore nella catena delle cose cercando di “scoprire uno sbaglio di Natura”, ”l’anello che non tiene”.

No, Riccardo avrebbe combattuto contro il determinismo di una natura matrigna e vendicativa che si esprime nella lunga stagione della pandemia e lui, che aveva tante volte come ebbi a scrivere molti anni fa “giocato a scacchi con la Morte” come nel “Settimo sigillo” di Ingmar Bergman e come nelle sue giovanili “Giocate Resistenze”, avrebbe ancora una volta combattuto con le armi della critica e nel titanismo romantico della sua esistenza anche questa battaglia 2020/21. Avrebbe forse cessato di scrivere versi perché il salmo biblico così ci dice: ”Et salicibus suspendimus organa nostra” e a lui parlava direttamente con le parole di Salvatore Quasimodo che sovente assieme ricordavamo: “E come potevamo noi cantare/…Alle fronde dei salici, per voto, /anche le nostre cetre erano appese, /oscillavano lievi al triste vento”. Avrebbe combattuto con amore e ragione, anche oggi che con il nuovo stupido secolo sembra finita ogni possibilità di sogno e di trasformazione, lui avrebbe continuato, ne sono sicuro, ad avere la sua visione e a delineare l’orizzonte del suo mondo, a cui veramente credeva, di una rivoluzione liberale ispirata ad antichi e nobili principi. È arcinoto che io non la pensassi come lui, ma ci accomunava la libertà del sogno e il nostro diritto all’utopia, a utopie diverse beninteso, che oggi vengono brutalmente conculcate da superficialità, ignoranza e banalità, da incapacità politica addestrata e mancanza d’immaginazione sociologica in un’ottica che appiattisce tutto alla ricerca affannata del miglior modo di amministrare le cose in funzione di interessi allogeni per giungere all’amministrazione della stessa vita.

Com’è stretto questo vestito, caro Riccardo! Nella nostra giovinezza, noi che nella storia avevamo vita (Pasolini) ci sentivamo dentro di essa e lottavamo per le nostre storie. Le tue battaglie culturali da intellettuale per l’organizzazione e la promozione della cultura ci hanno lasciato quel gioiello prezioso che è ancora il Premio Scanno che porta oggi il tuo nome accanto a quello della tua, della nostra Scanno. Prima con Alessandra, oggi con Manfredi, il Premio si è mantenuto vivo e vitale come pietra miliare presente in questo mondo sia pure così cambiato e diverso da quello che tu hai conosciuto. “Certo il cuore, chi gli dà retta, ha sempre qualcosa da dire su quello che sarà: Ma che sa il cuore?Appena un poco di quello che è già accaduto”. Questo passaggio manzoniano, come ricorderesti se fossi ancora qui, è posto da Giorgio Bassani, che tanto è stato vicino a te e a Scanno, nell’esergo de “Il giardino dei Finzi-Contini”. Quanto mai vero: i sentimenti non possono dare previsioni esatte e la memoria è soggettivamente impressionistica. Ma questo mondo “ferito a morte” come la spigola di La Capria al largo di Palazzo Donn’Anna nella nostra Napoli, sarebbe stato per te, sempre lontano dalla resa ma caduto vent’anni fa combattendo, come le isole delle Formiche a Ponza e i saraghi che liberi vi nuotavano quando ti tuffavi nelle loro acque impavido anche nel galoppo dei cavalloni dalla nostra imbarcazione, perché fossi tu il regista della cieca furia delle cose e non viceversa.

Sarebbe stata tale forza indomita di uno degli ultimi figli del Romanticismo ad accompagnare la stessa forza e la caparbietà dell’ “Io” su quest’ultimo capitolo di “natura matrigna” che stiamo vivendo nel salto di specie e nell’imbecillità di un’organizzazione sbagliata di “questo” mondo, senz’altro vieppiù radicalizzato nel suo iniquo assetto da quando Riccardo ha prematuramente varcato il suo “muro d’ombra”, come Giuseppe Ungaretti da lui tanto amato, l’ebbe a chiamare in uno dei suoi versi più sublimi. Ma Foscolo, e noi saremmo con lui, l’avrebbe definito, oltre duecento anni fa, il “nulla eterno”, il luogo da dove siamo venuti e dove alla fine andremo.

E, per chiudere il cerchio, torno con razionale emotività (amo talora la contraddizione degli ossimori) da dove sono partito, quindi da Eugenio Montale:”…e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. /Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio: /Il mio dura tuttora, né più mi occorrono /le coincidenze, le prenotazioni, /le trappole, gli scorni di chi crede /che la realtà sia quella che si vede”.

                                                                                                   Paolo de Nardis

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