Diciamolo pure: noi c’eravamo!

Io e un mio amico, dopo appena tre mesi, siamo tornati insieme a Scanno per le Glorie di San Martino. Messi da parte gli impegni e altre trasferte nei luoghi più sperduti e ameni di questo mondo, il mio amico ha pensato bene di dedicare un intero servizio fotografico a questa nostra manifestazione, lui che della fotografia è un vero maestro. Assicuratosi la compagnia di sua figlia Martina (quando si dice il caso) aveva una gran voglia di rivedere Scanno che non era sicuramente quella visitata in estate piena di gente; caotica, convulsa e rumorosa. Il paese, infatti, in questo periodo sembra essere diventato più piccolo, compresso dentro le sue mura con poca gente in piazza, trasformata da un posto dove sostare e colloquiare a solo luogo di passaggio, com’era una volta, sferzata dal vento freddo della valle che allontana anche gli ultimi visitatori. I pochi vecchi seduti sulle panchine, riscaldati da un tiepido sole, non fanno caso a niente così presi a godersi gli ultimi raggi, in attesa dei rintocchi di mezzogiorno. All’ora di pranzo, è ora di mangiare e quindi lentamente ritornano a casa e non c’è proprio più nessuno in giro.

Il mio amico sapeva già di questa festa e avrebbe, da profano, voluto prenotare un posto in prima fila. Informatosi del fatto che ogni posto è buono, non riesce a immaginare il perché di tanta frenesia e di tutto questo coinvolgimento popolare, questo fervore e attaccamento alle rispettive contrade: Cardella, La Plaja e San Martino, e dell’intero clima d’attesa che si vive intorno all’evento. Altri suoi colleghi fotografi avevano già immortalato anni fa le Glorie e, dalle notizie ricevute, sembrerebbe che nulla sia cambiato da allora. Infatti, si dice che la luce e la bellezza di questi fuochi che, esplodono all’improvviso, abbiano sempre qualcosa di particolare, qualcosa di mistico capace, almeno in questa giornata del 10 novembre, di allontanare il perentorio arrivo dell’oscurità della sera e l’approssimarsi del gelido inverno.

Prima di partire, abbiamo messo in valigia qualche giacca pesante ed anche un cappello; insieme a sciarpa e guanti. Il freddo pungente non lascia scampo. Di sicuro non influisce sul lavoro dei contradaioli, impegnati come non mai alla costruzione delle Glorie e poi alla loro accensione. Un’occasione che non era assolutamente da perdere, caratterizzata da un’esplosione di gioventù senza pari e poco importa se mancavano: bande, concerti e personalità varie. Ci sono stati anni “gloriosi” ai tempi delle radio libere locali e alcuni anni “ingloriosi” per via dell’utilizzo di materiali e sostanze altamente inquinanti che avevano messo in serio pericolo la continuità della manifestazione. Le Glorie autentiche sono cataste di legna rette da quattro “palanconi”, uno dei quali sarà recapitato all’ultima sposa dell’anno di ogni rispettiva contrada, come simbolo di forza e di fertilità. Si racconta anche che anticamente per rendere i fuochi più duraturi si usava in quantità la cera raccolta nelle chiese.

La scena, poi, è tutta dei ragazzi e dei bambini che già da diverse settimane si sono recati nei boschi per raccogliere arbusti e legname da ardere, e sono stati sempre loro che, con le loro grida, hanno accompagnato le lingue di fuoco fino a toccare il cielo. E ancora loro hanno animato tuta la piazza con le facce pitturate di un nero carbone da renderli irriconoscibili, felici ed eccitati all’inverosimile, ognuno convinto di aver fatto più “fuoco” degli altri. E la giusta ricompensa non poteva che essere una bella e gustosa “pizza che i quetrene”, fritta in padella, fatta con farina gialla di granoturco, acqua, olio, sale, noci e fichi secchi. Martina, che da grande vuole fare la cuoca, non vedeva l’ora di assaggiare la cucina scannese e questo è stato un motivo in più per accompagnare il padre, impegnato a fotografare senza mai un attimo di tregua.

A.Daltasso

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