Ripensando alla mia infanzia nei giorni di Carnevale, ciò che mi è rimasto particolarmente impresso nella mente, è “il ballo della Pupa” che si teneva nella piazza principale del paese.
La Pupa, nota anche come “pupazza” o “mammoccia”, nella tradizione abruzzese è un grosso fantoccio ricoperto di cartapesta raffigurante una donna, con colori vivaci e forme sfrontate. Anima del personaggio era un uomo che, introdotto all’interno della struttura, ballava in piazza a suon di musica. Sopra il fantoccio, la cui realizzazione era in canne di legno, veniva posizionato un telaio pieno di fuochi pirotecnici fatti scoppiare durante il ballo che, secondo la tradizione popolare, doveva concludersi con un gran falò. Il fuoco aveva il compito di purificare e scacciare il male. Per la pericolosità dell’evento questo rito nel corso del tempo è stato soppresso. Il Carnevale, oltre ad essere la festa delle maschere, dei coriandoli e della baldoria, conserva ancora tradizioni antiche e simboli pagani, riti legati alla dea madre e al risveglio della natura. La figura della pupa infatti veniva associata ai riti di ringraziamento primaverili e le ceneri del fantoccio venivano anticamente sparse sui campi a scopo propiziatorio.
Il martedì grasso, in molti borghi d’Abruzzo, è ancora in uso far rivivere antiche usanze la cui origine si perde nella notte dei tempi: nelle piazze – come detto – si accendono i falò e i roghi riscaldano gli animi mentre le vie si colorano di maschere e carri allegorici. E queste sono solo alcune delle attrazioni di quei rituali sospesi tra tradizione e trasgressione, in cui la farsa la fa da padrona non risparmiando nemmeno la morte. Al riguardo – ricordo – che a Scanno si mettevano in scena anche finti funerali. E allora perché stupirsi? A Carnevale, ogni burla vale! Il mio augurio è che presto si torni a far festa come in passato!
Giulia Di Bartolo