Escursione alla Montagna Grande

Tante volte in allegra compagnia, abbiamo percorso i sentieri delle nostre montagne. L’augurio è che ogni passeggiata o escursione permetta a ognuno di provare il desiderio di ripeterla cosi da cogliere nuovi momenti di felicità poiché “la felicità può essere ovunque e in tutto ciò di cui possiamo fare esperienza. Abbiamo solo bisogno di cambiare il modo di guardare le cose.”

Sul filo di queste considerazioni, proponiamo al lettore appassionato, un viaggio, nel tempo e nello spazio in una Scanno d’inizio novecento (13-14 agosto 1903).

Franco D’Alessandro

Monte Terratta

Il Monte Argatone (2151 m) e il Monte Terratta (2208 m.), due cime riunite da una cresta lunga circa due chilometri, formano un considerevole massiccio, ergentesi a SO di Scanno, che con le sue minori punte è chiamato Montagna Grande. Ambedue i versanti che scendono, l’uno alla valle del Sangro e l’altro alla valle del Sagittario, sono solcati da valli ripide e profonde, fiancheggiate da balze e dirupi di varie altezze e prive di vegetazione, talché la regione presenta un aspetto selvaggio e pittoresco.

Insieme all’amico e collega cav. avv. Cao-Mastio decidemmo di visitare la Montagna Grande, percorrendo le famose gole del Sagittario e ascendendone la vetta massima dal paese di Scanno. Partimmo da Roma la sera del 13 agosto, alle 20 per Avezzano, dove pernottammo. Al mattino seguente proseguimmo in ferrovia, giungendo alle 6.40 alla stazione di Cocullo. Alle 8.15 vi usciamo e a piedi proseguiamo per la via carrozzabile che percorre la piccola e stretta vallata del rio Pezzana, giungiamo alle 9.20 ad Anversa (610 m.), dove troviamo pronta la vettura ordinata. A sinistra si presenta il piccolo paese di Castrovalva, che sta appollaiato come nido d’aquila sopra un’alta roccia.  La larghezza delle gole è qui da 30 a 40 metri. Il sentiero corre or sulla riva sinistra, or sulla riva destra del ripido torrente, le cui acque di un bel colore ceruleo, spumeggiano battendo contro i sassi che gli ingombrano il cammino. La via sale sempre or più or meno lievemente. Il sentiero s’innesta oramai nella via carrozzabile e le gole, proseguendo, si fanno strettissime nuovamente e a un tratto cessano bruscamente in una piccola conca quasi circolare, racchiusa da monti in lieve declivio. Si giunge al ponte di San Luigi e qui la via carrozzabile entra in una piccola galleria. Dopo questa le gole cessano e cessa anche il corso del fiume, che è ora tutto sotterraneo. Alle 11 giungiamo sotto Villalago (950 m.) il cui nome deriva dal vicino lago. La strada carrozzabile si svolge quindi in un bel piano. A destra si erge l’imponente giogaia della Montagna Grande, di cui si vede verso sud la punta massima, la Terratta con i suoi bianchi nevai scintillanti al sole.

Nel trovarsi ora fuori delle gole, all’aperto, dinanzi all’ampia distesa dei monti, si prova un senso di benessere, che aumenta man mano fino alla vista del lago di Scanno, il cui panorama sembra fatto apposta per ricreare lo spirito dalle impressioni varie che si sono ricevute nelle strettoie delle gole fra le acque indemoniate del Sagittario e le pareti strapiombanti delle rocce La carrozzabile si svolge in piano, lungo il lago, poi oltrepassa il Santuario della Madonna del Lago e in meno di venti minuti giunge a Scanno (1030 m. ), in cui entriamo alle 11.50.

Dopo una buona colazione presso l’ottimo sig. Orazio Tanturri, visitiamo il caratteristico paesetto. Poco si sa delle sue origini ma pare che la sua fondazione si debba far risalire ad una colonia venuta dai seni del Mar Rosso a stanziarsi nella parte meridionale d’Italia.

Trovata una guida per la montagna in tale Luciano Simboli, stabiliamo la partenza per la sera stessa. Infatti alle 18.30 siamo già in marcia. Usciamo da Scanno e per la mulattiera che percorre l’intera valle del Carapale, entriamo in un folto bosco che non ci abbandona che allo stazzo (addiaccio) del Carapale (circa 1700 m.) al quale giungiamo alle 20.45.

I pecorai ci accolgono gentilmente e ci offrono i loro giacigli. Entriamo nella misera e angusta capanna mezz’affumicata e tra una chiacchiera e l’altra, non essendo possibile lo sdraiarsi e tanto meno il dormire, ci riposiamo fino alle 2.30 del mattino.

Alle 3 siamo di nuovo in marcia: la notte è splendidamente serena e fa freddo, si che avanziamo a fatica. Ogni vegetazione è ora cessata. Percorriamo per una mezz’ora il ripido sentiero che conduce a Pescasseroli e poi arrampicandoci pel brullo fianco della Serra della Terratta ne raggiungiamo alle 4.15 la cresta, lasciando a sinistra la Forchetta (2110 m.). Il più è fatto: percorriamo tutto il largo crinale della Serra, toccando le altre cime minori e alle 5 precise calchiamo la vetta della Terratta, chiazzata di ampi nevai. Soffia un vento indemoniato e gelido che calma i nostri ardori e ci fa accoccolare ai piedi della diruta torretta. Alle 5.10 ecco il sole levarsi maestoso a rischiarare tutto intorno. Il panorama è incantevole e completo sull’intero Appennino. Il rifugio Maiella, illuminato dalla rosea luce del sole, spicca sulla bianca montagna e noi mandiamo un saluto ai nostri colleghi e amici, che nella stessa notte ne avevano fatta l’ascensione e che forse nello stesso momento dalla eccelsa vetta scrutavano l’orizzonte in cerca della Terratta per inviarci il loro saluto. Il rombo del vento pare tuono e aumenta la solennità del meraviglioso panorama, al quale purtroppo fa d’uopo strapparsi e pensare al ritorno. Alle 6.30 decidiamo la discesa per l’altro vallone detto della Terratta. Abbandonata la vetta, scendiamo attraverso brecciai ed enormi massi rotolati giù dall’alto e dopo quaranta minuti di precipitosa discesa raggiungiamo i primi alberi dello scarso bosco. Alle 7.20 sostiamo breve tempo allo stazzo della Terratta e poi riprendiamo la discesa.

Il bosco è veramente grandioso. Imbocchiamo un sentiero che quasi sempre all’ombra percorre l’intero vallone che va più stringendosi fra enormi pareti a picco si che potrebbe più propriamente chiamarsi una vera gola pittoresca e selvaggia. Alle ore 8.50 il vallone è oltrepassato e allorché siamo giunti quasi in prossimità del lago di Scanno, prendiamo a destra il sentiero che si dirige verso Sant’Egidio e che ci conduce alle 9.45 a Scanno. Un po’ di riposo, un buon pranzo e alle 12.10 in vettura, a malincuore, lasciamo Scanno per la stazione di Anversa, cui giungiamo alle 14.30.

La sera stessa eravamo di ritorno in Roma felicissimi della invero bella gita, fatta attraverso la parte più caratteristica e simpatica dell’Abruzzo.

Savio Carlo (Sezione di Roma).       

(Da Rivista Mensile del Club Alpino Italiano Vol. XXIII. N° 1 –Gennaio 1904)

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